domingo, marzo 29, 2009

IN VIAGGIO VERSO EST S' INCONTRA LA NOSTALGIA
Repubblica — 22 settembre 1992 pagina 41
"NON SAPETE voi italiani che fortuna avete avuto ad averlo solo sognato, il comunismo". "Comunismo uguale morte dell' uomo". "Il comunismo ha tolto la voglia di provare ad essere felici". Battute del film In viaggio verso est, di Beppe Cino, prossimamente sugli schermi del festival Europacinema di Viareggio. Il regista, 45enne e personalmente partecipe dei sogni infranti di cui si parla, aveva anticipato la sensibilità di questo film con una personale celebrazione del ventennale del ' 68: evocativamente intitolata, quattro anni fa, Rosso di sera. Massimo Venturiello è il fotoreporter Alessandro, italiano di sentimenti ' postcomunisti' come egli stesso si definisce, in Bulgaria per documentare crolli materiali di busti bronzei e tutti gli altri crolli più o meno visibili provocati dalla grande svolta dell' 89. Andrea Prodan è la sua guida Andrej, bravissimo a parlare come un bulgaro parlerebbe italiano. Ernestina Chinova una ragazza bulgara troppo sincera e spregiudicata per sopravvivere indenne ai difficili equilibrismi di questa transizione; in cui quelli che hanno soldi e potere non sono, come ingenuamente crede il visitatore, "nuovi capitalisti", ma i soliti "vecchi comunisti" dalle consumate arti camaleontiche. Che cosa cercava Beppe Cino? "Verificare due cecità speculari. Quella di chi a Ovest ha sognato, e come me è stato prigioniero di un sogno forte ma è anche tenacemente intenzionato a continuare a ' pensare a sinistra' , e di chi a Est ha sperimentato il comunismo ed ha idealizzato il capitalismo". Continua: "sappiamo bene, in realtà, che per tutti, comuni viaggiatori, militanti e a maggior ragione dirigenti di partito, era possibile da un pezzo cogliere la verità. Eppure ho sentito il bisogno di compiere questo viaggio: turbato dal paradosso che fosse rimasto soltanto il cardinale Martini, in un articolo uscito all' indomani del colpo di stato russo dell' estate ' 91, a parlare di comunismo; dei valori eterni che di quella esperienza sopravvivono, di liberazione ed emancipazione dell' umanità. Mosso dalla coscienza - le cui tracce sono in realtà più a ovest che a est - che non possiamo non dirci marxisti così come, crocianamente, non possiamo non dirci cristiani". E mosso, anche, da un' altra consapevolezza, in un certo senso da un bisogno di espiazione: "45 anni di dittatura feudal-moderna, a est, hanno permesso altrettanti anni di pace per noi, hanno garantito un lungo periodo di crescita e di tranquillità. Dobbiamo ricordarlo". Ma c' è un sentimento più profondo, in questo film (lo vedrete, se come sembra si sta per concludere un accordo di distribuzione) forse un po' grezzo ma vitale e autentico, corrispondente a quell' etica/estetica rosselliniana che fa preferire a Beppe Cino l' imperfezione purché immediata ed efficace alla sterile ricerca del bello. C' è un aggiornamento e un allargamento delle preoccupazioni e delle preferenze che Pasolini applicava alla realtà e alle trasformazioni sociali italiane. C' è l' analisi di un frettoloso adeguarsi ma soprattutto c' è un sentimento nostalgico. Nostalgia di che? "Io mi identifico in una battuta del protagonista (che non è un vero militante, ma un uomo i cui sentimenti di sinistra sono abbastanza generici) che dice: ' è ad est che bisogna andare' ; dove non esiste la sazietà, dove l' occhio rimane ancora e malgrado tutto più aperto o meno accecato, dove è possibile la scoperta. La scoperta, per noi, che la sofferenza ci è così vicina, dove -e siamo in Europa, a due ore da qui- si vive con 50mila lire al mese. E la scoperta che lì sopravvive una civiltà arcaica, contadina, non contaminata; e, con essa, sentimenti più profondi e più autentici, perché semplici e meno contratti che da noi. Questo intendevo soprattutto esprimere". Un sentimento, in fondo, di gratitudine: per il prezzo che quei popoli hanno pagato, anche per far stare bene noi; e per aver conservato nella bufera della storia, che li ha investiti così violentemente, un' umanità più vera. "Sì, penso che l' impero dell' Est abbia garantito anche la conservazione di un' enclave antropologica, qualcosa che da noi è estinta, di cui mi sento personalmente grato. Insomma mi sono innamorato". Dichiarazione tanto sincera quanto impegnativa, pensando che proviene da chi ha uno sguardo consapevole e problematico, non un ingenuo. Senza ingenuità, del resto, Cino ha dipinto nel film il formicolare di piccoli e meno piccoli affarismi e traffici tra nuove figure sociali di quel mondo, una nuova mafia anche, e spregiudicati emissari dell' economia di mercato. Italiani compresi, anticipati dagli ambasciatori di sempre: divi dello sport, canzonette. I nuovi magliari voracemente in corsa verso una nuova terra di conquista. Dove tutto è in vendita. "Per me questo film serve", razionalizza il regista, "per un ripensamento, una volta smaltita la sbornia della caduta del Muro, riguardante la mancanza, il venir meno di un interlocutore, di una dinamica e di una dialettica di cui il mondo è rimasto orfano quando è sparito il Nemico". Ma, sollecitato sul tema della nostalgia, gli è facile ammettere: "Certo che, come ha ammesso Sofri di se stesso, anch' io mi piaccio di meno oggi. Nonostante la coscienza degli errori e della giusta autocritica. Ma di fronte alla incontrollata e straripante fame di Ovest che ho incontrato lì mi scopro malato di passato. E scopro che, in mezzo a tante rovine, lì sopravvivono", ha cercato di esprimerlo soprattutto nel personaggio di un vecchio comunista che non smette di sentirsi tale, "dei valori che qui sono stati cancellati". Un omaggio a questo sentimento? Le note dell' Internazionale melodrammaticamente spiegate sui titoli di coda. - p d' a

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